Domanda:
Gnoseologia e fenomenologia sono secondo voi riconducibili alla stessa fondamentale dialettica dell' esistente?
etcetera
2012-05-31 05:11:13 UTC
L' apparire cosciente e immediato di ogni cosa necessita dell' apparire immediato dell' altro di quella cosa come negazione di essa. Questa negazione appartiene tuttavia alla cosa stessa che solo attraverso la negazione di sé può definirsi per sé, gettandosi fuori in uno spazio in cui viene a collocare la propria negazione come altro che a sua volta si determina positivamente attraverso ancora l' altro di se stesso rimandando per via mediata a ciò che la cosa originaria è nel suo mostrarsi: una prospettiva infinita che prende continuamente forma attraverso il rimandare di ogni affermazione alla sua negazione e di ogni negazione a una nuova affermazione, quindi a un nuovo positivo apparire che è un ulteriore riconoscimento.
Il gioco di questo continuo riconoscersi di ogni ente attraverso la modulazione delle proprie negazioni e l' affermazione dell' altro che fa da specchio a se stessi esprime allora la dimensione dialettica fondamentale di tutto ciò che appare che implica senza soluzione di continuità la coscienza di ogni apparire.
Otto risposte:
F. I Il SECONDO replicante
2012-06-01 13:21:21 UTC
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Continuo QUI :

infine  la follia dell'occidente, rivisitata e ravvisata come sopra nell'illusorio e velleitario convincimento nell'UNICO vero (e nell'ossessivamente folle sua ricerca dimenticando la presenza storicamente condizionata e condizionante dell'essere UMANO — un essere antropologicamente e culturalmente sempre "obbligato" all'interno del « mondo » del quale ha l'ambizione di fornire la definizione ultima e veritativa), ebbene questa follia dell'occidente fugge dal senso, già ancestralmente vissuto come l'originaria esperienza fenomenologica, dell'impossibilità di una Spiegazione ultima.

Poiche' pero' ho anche avuto occasione di affermare "la follia a reggimento del mondo", bisogna anche determinare che follia e' anche quest'Assenza (l'assenza metafisica) di spiegazione ultimativa del mondo.

Concludo quindi — momentaneamente concludo — dicendo che la follia dell'occidente, consistente nella ricerca del vero unico, — unico, ultimo, ultimativo e definitivo — , e' la fuga dalla Sincera follia dell'impossibilità di quella ricerca, o meglio del ritrovamento del suo fantasmatico oggetto.

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Soltanto a questo punto e' possibile — caro M@ral — affrontare la tua domanda , fornire con una certa consapevolezza critica la propria risposta. Perche' metodologicamente , devo notare, una "comunità filosofica" non e' l'equivalente sul piano della filosofia di quello che e' la comunità scientifica nei confronti delle cosiddette scoperte scientifiche; perche' dalla parte della scienza si parte da certi presupposti condivisi, mentre questo non e' nella filosofia, dove ciascuno costruisce , erige il proprio edifico sulle fondamenta che egli stesso , più o meno consapevolmente, ha già pregiudizialmente scelto.

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Ebbene tirando le somme sulla base delle premesse di cui sopra, direi:

Primo, sarebbe da escludere quanto di "gnoseologico ed ontologico" e' contenuto nella rappresentazione descritta — una specie di « epoche' » fenomenologica, ma più radicalmente e definitivamente eliminativa di quella classicamente husserliana: escludo lo gnoseologico perche' presuppone l'Oggetto vero del conoscere, e l'ontologico a fortiori per definizione. Rimane una fenomenologia, con la soggettività cosciente che vi sarebbe introdotta e che farebbe « parte del gioco ».

Secondo, esattamente quest'ultimo punto sembrerebbe da sviluppare, non e' sufficientemente chiaro dove si puntualizza il "riconoscersi di ogni ente" , quale sia il confine tra cio' che appare e cio' «a cui» appare, e fino a che punto e' lecito parlare di una coscienza o auto—coscienza degli enti che appaiono e «ai quali» appaiono.

(per il resto, non trovo contraddizioni, il tutto si tiene ; sul piano — pero', — esclusivamente fenomenologico—rappresentativo. )

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Si' M@ral : "l' apparire dei fenomeni è il pensare cosciente e il pensare cosciente è l' apparire dei fenomeni " risponde alla domanda, ma suscitandone un'altra — se l'apparire dia luogo a una proliferazione di mondi che appaiono agli infiniti pensieri coscienti ai quali appaiono (l'infinito numero degli "io" empirici che fenomenologicamente appaiono anch'essi); oppure a un apparire trascendentale che appare a un Pensiero trascendentale (il quale rischierebbe di condurre verso una sorta di "oggettivazione" sovraindividuale tipo lo Spirito hegeliano o la Gloria severiniana); ed eventualmente un apparire trascendentale che si puntualizzasse negli infiniti mondi che apparissero agli infiniti pensieri coscienti.

Il che richiederà certi approfondimenti; che si scontreranno, già lo dico, con la mia "impostazione drammatica" del destino individuale (de—stino, anche fenomenologicamente un destino pure quello, a dispetto di ogni destino ontologicamente fondazionale )
Doktor     Faustus      -
2012-06-01 02:00:38 UTC
—— Ci si chiede M@ral di quale fenomenologia tu abbia fatto l'esposizione;

se si stia parlando del solito convitato di pietra , a quale futuro sviluppo questa apparentemente banale ri—costruzione fenomenologica faccia da preludio , che cosa bolla in pentola e che scherzetti tu ci stia preparando, ben conoscendo la vecchia "volpe severiniana" che s'annida dietro le tue domandine rompicapo.

Tuttavia a me sembra che , se uno sfondo d'ispirazione nella domanda c'e', non abbia più di severiniano che di hegeliano ( benche' molto di hegeliano ci sia nello stesso Severino), laddove si parla non soltanto di apparire e di significare, ma esplicitamente di "apparire cosciente e immediato", del "riconoscersi di ogni ente attraverso la modulazione delle proprie negazioni e l' affermazione dell' altro che fa da specchio a se stessi", di "coscienza di ogni apparire".............

Il tema insomma sembrerebbe , esplicitamente e direttamente premere MOLTO sul tasto della presenza soggettiva della coscienza all'INTERNO del gioco dialettico — una coscienza trascendentale soggettiva, che forse si concretizza nelle molte coscienze , o auto—coscienze immerse anch'esse nel gioco dell'apparire dei Significanti (coscienti) che appaiono pure nella consustanziale parte di significati ad altri Significanti , e reciprocamente.   (Per chiarire la rilevanza di quest'interpretazione — Se d'interpretazione si tratta — , qui non si starebbe parlando dell'equivalente di un numero che acquistasse significato all'interno degli altri membri dell'insieme numerico. Il quale insieme numerico se ne starebbe, fuori da ogni auto—coscienza, come eventuale "oggetto esterno" a una coscienza , che dal di fuori li guardasse.)

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Fin qui resterebbe da chiarire e approfondire questa faccenda, tutt'altro che trascurabile, della coscienza in mezzo al "gioco dialettico" dei Significanti significati e Significati significanti.

Ma il titolo della domanda dovrebbe già suonare come una sberla quando comincia con quell'esplicitazione che avvolge , — e non si sa se UNIFICA e attorciglia — gnoseologia e fenomenologia, comunque problematizzandone termini e rapporto, e fors'anche , mediante un passaggio meno esplicito e come uno slittamento, un'onto—fenomenologia, un rispecchiarsi dell'essere nel suo apparire, questa volta alla maniera effettivamente di Severino.

Su questo — su questo — esprimo la mia QUASI rituale opinione, profittando anzi per chiarire le mie affermazioni sparse su altre risposte già date. Ritengo una follia

(la follia dell'Occidente, ho già rubato l'espressione al ns. solito amatissimo) qualsiasi rappresentazione del mondo (della Totalita' assoluta chiamata mondo) che dica di se' stessa d'esser lo specchio , il duplicato gnoseologico di quello che Nietzsche chiamo' e chiamerebbe il "mondo vero" (raccontando come il mondo vero divenne favola). Ogni rappresentazione NON e' un tentativo di duplicare, come una sovrapposizione geometricamente congruente , l'effettiva UNICA oggettivita' del mondo. Non c'e' — salvo che nella follia che diro' nichilistica e altres' l'espressione di una volontà di potenza ( un piacevole e paradossale rovesciamento) — un "quid" fisso che funga da riferimento alle rappresentazioni della « realta' ».

(Continua.........................
Nikidis
2012-05-31 18:31:28 UTC
Questa particolare parte della gnoseologia severiniana mi si presenta come un ludico esercizio del pensiero che non trova corrispondenza nella realtà fenomenologica.

A è tale soltanto in virtù dello sfondo ~A? Quindi un accendino non è una pipa ma non è neanche una strada né malinconia, un treno o una periferia, non è oceano né quercia né l’universo intero. E che necessità ha A di trascinarsi dietro, come sfondo negante, tutta questa immensità? Che poi a sua volta, ogni ente negato diventa un positivo che appare assieme al suo proprio universo negato e così via ad infinitum.

Il “non è” di ogni ente è solo nella nostra mente, utile durante il processo di concettualizzazione, e le differenze a cui A viene sottoposto sono sempre le strette necessarie per disambiguare A quando esso lo richieda.

L’unica eccezione potrei concepirla quando A = essere, ma anche in questo caso, e su questo mi pare pure tu sia d’accordo, ~A è soltanto un concetto della mente, concetto d’altronde vuoto se il ~ non viene posto in identità con il ≠.



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D’accordo, Maral, anche il 4 è 4 perché non è 1, non è 2, non è 3, …; e accolgo che tutto ciò che non è 4 – quindi l’intero dominio numerico – “gli dà una precisa e concreta forma fenomenica di significato ed è da esso inseparabile”, ma è come dire che il 4, per esistere e per essere tale, necessita che prima si sia posto l’esistenza dei numeri alla quale il 4 appartiene ed è relazionato. Quid prodest questa specificazione? Non andrebbe recisa? O è funzionale a qualcosa che mi sfugge? Quale importante traguardo abbiamo raggiunto nel dire che un muro nero è anche un muro non-nero, non-giallo, non-di-colore-diverso-dal-nero? Solo per successivamente passare alla contraddizione C che in ciò trova una possibile giustificazione teoretica e propedeutica?
Panter [I am the original]
2012-05-31 14:14:00 UTC
Tutto il primo paragrafo è solo un gioco di parole il cui significato può essere riassunto in un'unica frase: <>. Di conseguenza la negazione è un nascondimento dell'apparire come l'apparire è l'apparire del non negato in cui non è necessaria la ricorsione. Quindi la fenomelogia è legata alla conoscenza per come appare e viene interpretata.

Dov'è il problema? in fin dei conti è la dimostrazione della non esistenza del nulla assoluto.





NO Maral, se vuoi giocare sui significati in maniera pseudo-logico-matematica fai pure ma alla coscienza quando appare una cosa deve necessariamente nascondersi il suo contrario. La logica del linguaggio non si serve della matematica se non richiesta. E' scontato che il non apparire è antecedente all'apparire ma quel non apparire è per tutte le cose che non appaiono quindi è l'apparire della cosa specifica che determina la sua negazione. Sono due modi d'espressione equivalenti.

Per questo ti chiedevo dov'è il problema.



_________ Ma che dici Maral? io cercavo di correggere il tuo giochino linguistico pensando che ti riferissi alla fenomenologia classica come rappresentazione visiva. Hai il brutto vizio di non manifestare apertamente di cosa vuoi parlare. Quindi se parli di fenomenologia "Maralista" allora ti rispondo con la fenomenologia "Panterista":

Ciò che appare è l'oggetto come matrice fisica nella quale si copia l'essenza della sua matrice energetica e che si rappresenta per quello che é nel suo aspetto diveniente, e nello sfondo c'è tutto quello che è rappresentabile e non ancora rappresentato sottoforma di energia. La negazione quindi è la sola possibilità di non manifestarsi perché ancora non è a livello fisico.

Lascio a te e Severino gli eterni contraddittori, le altrettante necessità di apparire sotto forma di flash divenienti come infinite lampadine dello stesso oggetto che si accendono/spengono e le complicanze che ne derivano.

___Il mondo fisico non ha nulla di eterno, eterna è l'energia prima che ha dato vita all'energia diveniente non visibile e che a sua volta da vita alle matrici fisiche. L'universo è semplice scambio di energia a dimensione differente. Per svelare il mondo fenomenologico va applicato il rasoio di Occam altrimenti poi occorrerebbe giustificare la presenza di infiniti eterni apparentemente frutto di un grande emulatore che non sa cosa emulare. Manca il progettista, te l'ho detto infinite (tanto per essere in tema) volte.
LUWITT.
2012-05-31 12:44:43 UTC
Finito di leggere la tua domanda stavo per mettermi le mani al collo nel tentativo di suicidarmi. Scherzi a parte, il bel gioco linguistico a cui ti sei dedicato, lascia intravvedere un certo sadismo da parte tua, ma a quest'ora se non si gioca che si fa? "A" esiste in relazione a "Non A" è dal punto di vista gnoseologico una affermaizione inverificabile perchè empiricamente improbabile. A esiste in relazione a B e B in relazione a C e così via in un ritmo infinito di combinazioni tipiche di un sistema binario chiuso in cui tutto si tiene e in cui il negativo/positivo se pure non riferibili a se stessi certificano la realtà essenziale del fenomeno in dimensione relativista. Lo scontro tra noumeno e realtà non essenziale che alla fin fine si traduce nella vittoria del trascendente nello spiritualismo e nell'idealismo e nell'immanente nel positivismo neo kantiano serve solo a evidenziare l'importanza del metodo di ricerca dubitativa cartesiano. Il fenomeno in se non esiste se non come prodotto di un altro fenomeno in base al principio di causalità, base del meccanicismo, ma anche fonte ispirativa di molte religioni orientali come il buddismo. Causa ed effetto, dove l'effetto è causa di un altro effetto fino all'infinito della soluzione karmica e dove lo stesso processo è gnoseologico per definzione. Insomma, si gnoseologia e fenomenologia sono riconducibili alla stessa fondamentale dialettica dell'esistente. Attenzione, ma anche del non esistente perchè ipotetico o solamente teorico. La teoria della relatività non è stata mai praticamente sperimentata, ma solo matematicamente definita; c'è quindi una dialettica del teoretico che spiega l'esistente fenomenico, ma si tratta di gnoseologia pura, come il tentativo di conoscere Dio. Ciao
2012-06-04 07:53:46 UTC
Panter(alter ego) proprio perché apparire significa uscir fuori deve esserci qualcosa da cui si esce fuori e questo qualcosa è proprio NON A, lo sfondo su cui A appare. L' apparire del numero 4 (v.es.di Nikidis) implica l' apparire di tutti i numeri che sono NON 4, ove i numeri che sono NON 4 non annullano 4, ma al contrario proprio per il loro essere diversi (ma non separati da 4 in quanto con esso in relazione) lo pongono in evidenza, lo fanno risaltare come 4, al punto che non si può concepire 4 senza concepire tutti i numeri che non sono 4.



Prima di chiudere la domanda credo opportuno aggiungere qualche chiarimento in merito alla domanda e un commento alla risposta di F.I.

L' idea che ho provato a proporre è che l' apparire fenomenologico e la di conoscenza cosciente di esso siano inscindibilmente intrecciati attraverso un processo dialettico di tesi e antitesi che restano sempre collegate, di modo che reciprocamente appaiano l' una sullo sfondo dell' altra. Questo apparire è dunque l' aspetto fenomenologico che rappresenta ed è rappresentato dalla continua conoscenza dialettica (soggetto-oggetti; oggetti-soggetto). Il riferimento è certo al pensiero di Severino che riprende la dialettica hegeliana ponendo però il momento di sintesi connettiva come originario, all' interno del quale si differenziano tesi e antitesi senza separarsi. Se vogliamo il problema ontologico riguardante l' essere e il niente come particolare caso di questa dialettica è un' estensione ulteriore del senso della domanda.

La risposta di F.I. invece parte proprio dalla considerazione ontologica che tiene a ribadire e che ribalta il pensiero di Severino: il quid (la verità unica e ferma) va negata, l' in sé è inconoscibile al punto che possiamo dire che non è, dunque ogni pretesa gnoseologica di scovarlo non ha senso, è una volontà falsificante con cui si vuol far credere di avere trovato ciò che non c' è per volere una indiscutibile potenza che invece è sempre discutibile qualsiasi fondamento si ponga, fosse anche il principio di identità. Dunque non è il niente alla base del delirio dell' Occidente, ma proprio l' Essere nel momento in cui si pretenda di definirlo come fase assoluta, il niente in un certo qual modo ci salva dalla falsità dell' unico episteme, ove "falsità dell' episteme" è certo aporia, ma questo non significa nulla se si afferma la negazione del principio di identità, la contraddizione regge se stessa e paradossalmente l' episteme diventa certezza dell' aporia.

Nell' ambito della mia domanda però non intendevo la gnoseologia come ricerca della ragione ontologica prima che svela (o violenta) l' inconscio che sta sotto con pretesa di indubitabile coerenza, ma solo evidenziare come il processo cosciente dialettico possa dar ragione dell' eterno oltrepassare fenomenologico degli enti in un continuo rimandare oltre che è lo stesso continuo espandersi dell' universo fenomenologico non separabile dalla coscienza. Intendevo proporre l' idea che l' apparire dei fenomeni è il pensare cosciente e il pensare cosciente è l' apparire dei fenomeni. E questo mi pare possa rispondere alla domanda di F.I. "quale sia il confine tra ciò che appare e ciò a cui appare". Cio che appare e ciò a cui appare sono in ultima analisi il medesimo ente che si mostra conoscendosi dialetticamente come soggetto e come oggetto, come significante e come significato, come io e come mondo.
Panter [Alter ego]
2012-06-03 20:41:32 UTC
Panter è un po' strano, però a pensarci bene...

dire come dici "A per apparire come A deve lasciare apparire un NON A" anche a me sembra un'assurdità matematica oltre che logica. Apparire ha un significato ben preciso (uscir fuori, presentarsi alla vista) e se appare contemporaneamente A e NON A è come dire che appare Materia e Antimateria per cui si ha annichilimento. Se appare NON A, per apparire A.. NON A deve nascondersi (alla vista) automaticamente, come quando giri una moneta. Giocare sui significati dei significati significa perdere il significato logico del significato, viene a mancare la comunicazione e il significato diventa non significato, e.. a Panter ancora gli gira la testa, e anche qualche altra cosa perché non può scrivere e Yahoo dice che ha dei disservizi.
Dokt B
2012-06-01 18:52:46 UTC
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Pare che Y.A abbia qualche problema, non si riesce a modificare :- |

 e quindi sperando in bene, continuo QUI la risposta.

Riprendero' il discorso facendo un esempio estremo. Fingiamo di essere al cinema e di assistere a un film. Alla fine si potrà pur dire che ognuno si sia fatto la sua idea del film e che (sulla scia della nota affermazione che "non esistono fatti ma solo interpretazioni") esisteranno tante "interpretazioni" del film, e non importa stabilire quale vera e quale falsa, perche' bisognerebbe prima mettersi d'accordo sulla base di quale parametro stabilire l'interpretazione vera del film; e sarebbe già un bel traguardo, perche' permetterebbe di capire che OGNI interpretazione risponde ai presupposti critici che si prefigge di rispettare e all'interno dei quali assume altres' il significato del suo dire.

Fin qui pero' abbiamo ancora "un film" che, nel suo prestarsi alle più diverse interpretazioni, e' ancora un quid che nella peggiore delle ipotesi sarà quel riferimento all' « in se' » kantiano (e anche Popper dice da qualche parte d'esser costretto almeno a "fingere" che una realtà oggettiva alla quale corrier dietro ci sia, come un puntello sulla terraferma, per non trovarsi sospeso di fronte al nulla).

Sin qui pero' si finirebbe, com'e' che si dice, col dare un colpo al cerchio e uno alla botte e si finirebbe col dare la stura a quel soggettivismo e relativismo della verità tanto odioso a tutti gli orecchi e specialmente ai miei che sono suscettibili per le cose a meta' e parteggiano per le cose estreme e QUASI provocatorie. Perche' arrivo a dire,e quest'e' la mia personale opinione, che non v'e' proprio film, le "interpretazioni" del film non interpretano un film ma ne sono rappresentazioni tutte parimenti "ne' vere ne' false".

(Continua..................................

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Continuare a presupporre un OGGETTO–mondo da guardare con gli occhi esterni di un Soggetto dal di fuori mi pare che sia non solo filosoficamente superato (il che non basterebbe a dimostrare nulla di per se'), ma adeguato e rimasto ancorato a un atteggiamento INGENUO di tipo cartesiano:

lo sguardo della coscienza soggettiva da una parte, e l'UNICO mondo vero dall'altra (con l'esito kantiano ovviamente).

Il punto debole di quest'atteggiamento e' proprio quello di considerare non tanto "vero o falso" quanto l'UNICITA' del vero. Ma Descartes e' già un progresso rispetto a Platone, perche' almeno si chiede come sia possibile fare il salto (e Platone a sua volta e' un passo avanti perche' comincia a render conto di una fenomenologia praticamente ANNIENTATA dal venerando Parmenide). Finche' qui — « ritornati a Parmenide » — ci possiamo render conto della follia parossistica della più grande costruzione epistemica planetaria, la filosofia greca (di poi affiancata dalle costruzioni teologico—religiose) alla meticolosa ricerca dell'epistemica verità per superare, come giustamente dice Severino, l'angoscia dell'IN-spiegabile e dell'inspiegato. (Severino clamorosamente conclude questa straziante quanto vanagloriosa ricerca coerentemente ricominciando da capo.)

Perche' follia questa tormentata e tormentosa ricerca? Perche' appunto confessa già a se' stessa la propria artifiziosa necessità, del desiderare un ansiolitico contro l'esistenza; e ogni ricostruzione della presuntuosamente sedicente di–scoperta dell'unico vero e' la confessione:

Primo - dell'atteggiamento nichilistico che annienta, annichilisce, UMILIA ogni altra ricostruzione epistemica ovvero rappresentazione —— Ri–presentazione —— del mondo ;

Secondo - della volontà di potenza (paradosso dei paradossi!!) che esprime nella pretesa di quell'annientamento. (e il combattimento ingaggiato dal ns. solito prediletto esprime la confessione di se' stesso nella proiezione QUASI psicanalitica sul "diverso da se' " del proprio stesso nichilismo e volontà di potenza; due parole magiche che nella ripetizione ossessiva sono lo smascheramento della propria stessa intima contraddizione).


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