Domanda:
L'ontologia di Severino è la giustificazione teoretica del nichilismo?
2011-08-24 10:52:35 UTC
Non volevo discutere delle basi teoretiche del suo sistema. Preferirei che voi ragionaste ex suppositione, accetandone le premesse per vedere se da quello che si ammette segue ciò che sto per dire.
Secondo Severino il divenire è semplicemente il mostrarsi e il nascondersi continuo di ciò che è già da sempre (gli eterni). Non c'è nessun Dio che signoreggi il divenire, non c'è affatto un divenire in senso tradizionale (trasformazione delle cose). Io stesso sono eterno, e anche un ente molto particolare dell'ontologia severiniana: la volontà di potenza. Questa.. cosa.. è propriamente ciò che anima ogni azione: la volontà di modificare le cose, di plasmarle, nullificarle, amarle, odiarle. In altre parole si tratta del fondamento di ogni vita (della nostra vita, per come la si intende). La volontà di potenza non si può però evitare, nemmeno portando alla luce l'inconsistenza dell'oggetto del suo volere (cioé il divenire, la trasformazione: Severino è molto chiaro a riguardo, La volontà di potenza è necessaria, è.. per così dire l'antitesi APPARENTE alla verità eterna). Dunque posto che

- Non esiste niente che si imponga al divenire e che possa dirigerlo se non la necessità di ciascuna cosa per quello che essa è.

- Non esiste un modo per evitare la volontà di potenza (che a detta di Severino sarebbe la sostanza di TUTTA la vita, di tutta la cultura, per come esse sono intese)

Dico: da queste premesse non discende una forma di nichilismo raffinato che nega in superficie, quanto essa invece afferma in profondo ? Cioé proprio la volontà di potenza? Altrimenti ognuno non potrebbe nemmeno vivere o uccidersi senza andare contro la verità. L'attribuzione dei significati rientra sempre all'interno delle operazioni della volontà di potenza.. per vivere dobbiamo convivere con essa secondo l'ontologia severiniana?
Nove risposte:
etcetera
2011-08-24 14:22:56 UTC
In primo luogo la negazione del divenire per Severino è assolutamente radicale e caratterizza fin dalla "Struttura originaria" tutta la sua filosofia, assunta sulla base di considerazioni strettamente logiche (il divenire, dice Severino, esige la contraddizione irriducibile che ciò che è sia in quanto non è). La volontà di potenza è necessariamente implicita nel divenire la fede nel quale è alle fondamenta di tutto il pensiero occidentale a partire dalla Grecia antica (potenza nel controllarlo e nell' arginarlo attraverso la postulazione di enti metafisici per sempre sottratti ad esso, o potenza di cui appropriarsi per saper creare dal nulla e per subito annientare come nel nichilismo tecnico del nostro tempo). E' evidente allora che se il divenire è contraddizione assoluta, totalmente illusoria sarà anche la volontà di potenza che solo su questa contraddizione assoluta si costruisce.

Tuttavia questa contraddizione appare e appare in antitesi all' eternità reale degli enti. La contraddizione appare in senso dialettico, ma già compresa nella propria sintesi (anch' essa da sempre esistente e non successiva a tesi e antitesi), appare quindi nel proprio venire oltrepassata che significa il superamento della visione della Terra Isolata (ossia separata con violenza, decontestualizzata dal tutto infinito a cui appartiene e in cui si trova relazionata). In questa Gloria dell' oltrepassare, necessariamente già presente, ma che ancora deve concretamente sopraggiungere, nessuno di noi, nessun ente vive nel senso del diventare altro da ciò che è, nessun ente può in alcun modo mai realmente morire, uccidere o uccidersi, anche se si può credere di poter davvero vivere, morire, uccidere e uccidersi. E il sopraggiungere concreto della Gloria può solo realizzarsi nel realizzarsi compiuto della illusione della Terra Isolata, perché solo ci che è compiuto può venire oltrepassato.

La volontà di potenza è l' antitesi dell' eternità inseparabile di ogni ente come l' illusione lo è della realtà e la Terra Isolata del tutto relazionato, ma ognuno di questi elementi è compreso nella Gloria infinita di ogni ente Eterno che accoglie l' illusione come polarità antitetica alla realtà dell' Essere.

In conclusione non vi è nel pensiero di Severino alcuna giustificazione teoretica del nichilismo, ma semmai una giustificazione logica dell' apparire dell' illusione del nichilismo che esprime l' assurdo del sorgere dal niente degli enti per tramontare nel niente.

_________________________________________________________________________________

E come potevo non rispondere dopo che ho citato Severino in lungo e in largo fino alla nausea e mi sa tanto spesso a sproposito.

Capisco la tua perplessità, Monade, nella prassi l' illusione del divenire appare incontrovertibile e questo giustifica pienamente il nostro innegabile poter agire. Ma il punto è che per Severino è proprio questo poter agire che appartiene inscindibilmente all' illusione prodotta da un' aporia logica assoluta per cui le cose possono diventare altro da ciò che sono, per cui questo stesso computer che ora è acceso prima era spento e il suo essere spento allude al suo essere acceso (la negazione è nell' affermazione e viceversa per Severino, i contrari si implicano costantemente) e se voglio accenderlo devo certamente credere di poterlo fare premendo tecnicamente un tasto.

L' illusione contiene la prassi nel medesimo sogno e quando si sogna semplicemente si vive nel sogno e solo nella logica immutabilità di ogni cosa sempre identica a se stessa il sogno appare per ciò che esso eternamente è, ossia sogno. L' apparire della volontà di potenza nell' isolamento della terra è necessario e inevitabile, perché anche la Terra Isolata, il suo dover mutare rappresentando una dopo l' altra le infinite connessioni coesistenti tra gli enti che qui si escludono, appartiene al cerchio degli eterni e con essa l' illusione di un istante che passa o di un computer che si accende potendo premere un tasto. Tutto questo incontrovertibilmente appare con noi attori che facendo cose rappresentiamo compiutamente la grande magia illusionistica della volontà di potenza figlia di un niente fermamente creduto esistente affinché il gioco riesca, ma allo stesso tempo appare per ciò che veramente è alla luce del principio di identità, ossia illusione.

C' è, credo nella filosofia di Severino una sorta di idealismo dialettico cristallizzato in un' eternità Parmenidea, non dell' essere, ma di ogni ente nella sua singolarità contraddicibile e questo la rende oltremodo singolare. Tesi e antitesi (realtà e illusione) pur contraddicendosi non si annullano mai, nemmeno nel superamento di una sintesi, ma permangono comprese insieme nella loro essenziale interezza.

Una specie di Giano bifronte, da una parte la faccia dell' illusione, dall' altra quella della realtà, ma entrambe riferite allo stesso eterno e in esso interamente comprese.
Nikidis
2011-08-26 01:53:01 UTC
A me pare che il tuo sospetto sulla giustificazione teoretica del nichilismo non sia del tutto inconsistente, sebbene tutto l’impianto severiniano sia volto a dimostrare esattamente il contrario.

Nel divenire eracliteo/nietzschiano la volontà di potenza permette al superuomo di vivere e superare l’impotenza dell’eterno ritorno dell’uguale.

Nel non divenire parmenideo/severiniano la stessa impotenza emerge in quanto l’apparente divenire è necessitato dall’immutabilità degli enti. Se tutto è già, se tutto è una pellicola già data, se l’ente uomo non può in alcun modo cambiare questo flusso eterno di fotogrammi, cosa gli rimane da fare se non, come il superuomo nietzschiano, accettare l’ineluttabilità degli eventi e viverli e superarli?

Di sicuro mi sbaglio, ma io vedo del nichilismo in ogni negazione del libero arbitrio.



Certo, al nichilismo così inteso Severino contrappone la Gloria gioiosa: «La morte appartiene alla manifestazione degli eterni; è un evento interno a tale manifestazione. Essa non ci travolge, ma è una parte del nostro esistere. È una condizione necessaria della felicità. Noi siamo destinati alla felicità, cioè alla Gioia, che è l’oltrepassamento di tutte le contraddizioni e non un premio concesso a chi avrebbe usato "bene" la propria "volontà libera". È necessità. È inevitabile che, dopo il tramonto della Terra isolata dalla verità – e dunque dopo il tramonto della vita e della morte, della volontà e dell'abulia – l’uomo sia felice».



La teorizzazione di Severino è funzionale, in massima parte, al perché la scienza oggi sta andando dove sta andando: «La volontà di potenza dell’Occidente, che culmina nella volontà di potenza dell’Apparato scientifico-tecnologico, raggiunge la radicalità estrema, perché è il senso greco del divenire a raggiungere la radicalità estrema. […] La scienza è la volontà di accrescere indefinitamente la propria potenza, ossia la propria capacità di trasformare qualsiasi ordinamento del mondo».



La civiltà tecnologica è dunque abitata da un’anima nichilista. Per uscire dal nichilismo, dalla sua follia, occorre far propria la «verità dell’eternità di ogni ente – di ogni cosa, gesto, istante, sfumatura, situazione. Al di fuori del nichilismo il sopraggiungere dell’ente è il comparire e lo sparire dell’eterno. […] Anche il più irrilevante e umbratile degli enti è eterno, come eterna è la stessa follia estrema del nichilismo».



Ma si è sicuri che la deriva nichilista sia solo conseguenza di una spropositata fede nel divenire? O lo è piuttosto di un divenire esclusivamente nichilista? E andrebbe diversamente se invece la scienza ripiegasse sull’ontologia di Severino? Se tutto è già, perché preoccuparsi delle nefaste conseguenze della smisurata potenza scientifica?

È possibile conciliare l’illusorietà del divenire con un minimo di libertà dell’Esserci?

Esiste una via di fuga in grado di mantenere l’eternità degli enti senza per questo rinunciare alle leggi empiriche, seppur illusorie, del divenire, in maniera del tutto diversa dalla metafora della sequenza dei fotogrammi?

Non è che forse l’enorme impatto che sta avendo l’ontologia di Severino sia dovuto al fascino che ogni teoria limite comporta al pari del fascino dell’eterno ritorno dell’uguale? Ovvero, non è che oggi con Severino stiamo subendo la stessa fascinazione dei tempi di Nietzsche ma nel suo estremo esattamente opposto?
?
2011-08-24 17:46:52 UTC
Il perché dell'apparire dell'interpretazione nichilistica del divenire (e cioè il divenire come una provvisoria sporgenza dell'essere dal nulla) piuttosto che immediatamente il divenire come il sopraggiungere degli enti nel cerchio dell'Apparire - è plausibile che risenta, come arrivando da un'eco lontana, di una formazione di pensiero da un lato hegeliana, da un altro escatologicamente orientata come quella cristiana, in cui c'è un Oltrepassamento di un "prima" (inadeguato, incompiuto o persino "sbagliato") che esige - logicamente o salvificamente - di essere Oltrepassato.

All'Interno, però, della lettura severiniana, la NECESSITA' domina l'Apparato categoriale che è chiave di lettura, severiniana, della Realtà - e quindi della storia, e quindi della Follia dell'Occidente. I contenuti interpretatativi della realtà in quanto divenire nelle sue concrete determinazioni possono essere folli - ma essi, in quanto essenti e quindi eterni, non avrebbero potuto non sopraggiungere. Il perché ciò sia stato e sia, anziché ALTRO, in attesa di un vicino Oltrepassamento, al di là di ogni "giustificazione" (la quale, in quanto "voler spiegare", esprime già una volonta di potenza) mi sembra, OSO dire, lontano dallo stesso Severino e da una visione "provvidenzialistica" dei futuribili sopraggiungenti. QUASI paradossalmente, ritorna l'affermazione leopardiana "le cose stanno così perché così stanno"_______________________
2011-08-24 15:00:29 UTC
Severino è vero che nega il divenire. Ma la volontà di potenza , non fa affatto parte dell'ontologia (ontologia è ciò che eiste)



La volontà di potenza è conseguente alla credenza nel divenire (la volontà di potenza è connessa al divenire).



Ma il divenire , secondo severino, non esiste affatto, è solo un illusione (lui la chiama addirittura la follia dell'occidente, un occidente che proprio perché ha fede nel divenire, proprio per questo è pervaso da volontà di potenza , di poter dirigere le cose e piegarle alla propria volontà).



Il vero nichilismo (secondo l'autore da te citato) , è credere che le cose divengono, che escono dal nulla e vadano a finire nel nulla.



Lo sguardo nichilita quindi, (che è lo sguardo del divenire , cioè dell'occidente) vede le cose come un "futuro niente" e non come eterne.



Tutte le filosofie (dai greci ad oggi) hanno riposto fede nel divenire (l'unico, credo, che abbia messo in discussione il divenire ,è parmenide e severino appunto).

-----------

Un esempio di nichilismo è il crisitianesimo (come un po tutte le religioni d'altronde), dove si mortifica la vita terrena , proprio perche', la vita terrena è vista come un niente (un andare verso il niente) (anche se dopo il disfacimento ci sara' secondo loro un paradiso, ma cmq si perde la forma terrena).



Quindi severino, negando il divenire, nega ciò che e' connesso al divenire: la volontà di potenza



------------



Quindi , essendo il divenire un'illusione, il divenire non è una categorie ontologica (il divenire non esiste è solo una fede)



Vendendo meno il divenire , viene meno la volotà di potenza , che si basa sulla fede nel divenire appunto.



.
Panter [I am the original]
2011-08-29 08:18:05 UTC
"L'ontologia di Severino è la giustificazione teoretica del nichilismo?"



In un certo senso sì, ...in un solo colpo Severino si disfa del Niente e del Dio supremo attribuendo eternità a tutti gli enti (tutti gli essenti quindi), e tutto questo per eliminare la contraddizione apparente del divenire.

Penso dovrei spiegare perché definisco apparente la contraddizione ma... ciò non rientra nella tua domanda in quanto dici di non voler discutere delle basi teoretiche del sistema di Severino. Ma come è possibile non mettere in discussione un pensiero filosofico e parlare poi di una volontà di potenza per logica (non quella certamente della paraconsistenza) non applicabile a meno che per volontà di potenza non s'intenda (in questo caso) volontà in potenza di far apparire e scomparire gli enti; in fin dei conti far apparire e sparire non intacca il senso di eternità e anche se tutto ciò fosse come manovrare le illusioni l'importarte è anelare e riuscirci. Penso sia meglio mettere in quarantena una contraddizione e pensare come risolverla in seguito piuttosto che barare cambiando completamente i presupposti che portano alla contraddizione e soprattutto quando i nuovi presupposti portano ad altre contraddizioni e paradossi. Ti sembra così facilmente accettabile dire che la morte è la vita che si nasconde, che il vivere è una farsa in cui gli essenti sono eterne marionette, etc.... ?

e poi..., la storia del bambino e tutti gli intervalli tra il bambino e l'adulto e tra l'adulto e il vecchio che si svelano e si nascondono istante per istante!



C'è molto di bello nel pensiero di Severino ma c'è anche tanto che somiglia molto a quella che lui chiama la follia dell'Occidente. Tranquillo, Severino non può offendersi dato che chiama amici coloro che lui cerca di smentire.



ps.: se è assurdo aver fede nella nascita dal niente e del suo ritorno al niente perché non è altrettanto assurdo aver fede che l'eterno se ne stia nascosto e appaia per poi nascondersi non si sa bene per quale volontà o artifizio? Non pensi ci sia qualche errore di fondo e che possano esserci altre soluzioni più ragionevoli e che gli enti non siano gli essenti ma ciò di cui gli essenti sono composti? Mediterei proprio su quest'ultima riflessione.....
Pesach 3.0 - Jesus King
2011-08-25 11:21:37 UTC
Non sono uno studioso di Severino ma da quello che dici, un pensiero siffatto giustifica l'idea che detta a modo mio, "non si realizza l'ente in quanto esistente, ma come, una sua continua manifestazione e suo nascondimento".



Non si va a specificare nemmeno in che ritmi questo nascondimento e questa manifestazione avviene.



Ma sai, porsi problemi di filosofia pura è un continuo attacco alle idee "pre-costituite" e o "costituite al fine di qualcosa di specifico".



Se tu adesso mi cacci queste discussioni mi fai venire dubbi sul fatto che tutto ciò che noi per scontato diamo per esistente è solo un qualcosa di evanescente, illusorio, finto.



Allora, per risolvere la questione sai come la sbrigo: in realtà tutta " l 'inaccoglibilità " dell'essere "in se' stesso" (in quanto tale come direbbero altri filosofi) è solo un problema della retorica, del simbolo che noi usiamo per rappresentarla, che per forza di cose, non rinchiude, ne' dischiude qualcosa.



Quindi ciò di cui parla Serverino, non è dunque la natura dell'essere, ma il simbolo, la grafia, la scrittura, la geometria, la sua rappresentazione che a volte si rivela, a volte cela... è il divenire stesso che non è accoglibile come un "ente" ma come il passaggio da un ente a un non-ente.



Il divenire quindi, è proprio il processo di tutti gli enti di "omologarsi", ovvero, di auto-rappresentarsi o di essere rappresentati da altri enti nella stessa maniera in cui vedono "l'ENTE"; scritto in maiuscolo per rappresentare quello che non è soggetto al divenire è che è eternamente tale senza mutamento.



Il mutamento appartiene dunque, agli enti e alle loro rappresentazioni, scritto in minuscolo, non all'ENTE.



Tutti gli enti, assumono la forma di quello che per loro è "l'omologarsi" all'ENTE.



Ma in realtà si ingannano.



Allora, il VERO ENTE chi è? Qualcosa che non appartiene per certo agli "enti" minuscoli, ecco perchè mutano, divengono, fino a distruggersi.



Teoreticamente giustifica dunque l'idea che nulla è rappresentabile nella sua vera essenza. Non necessariamente un puro nichilismo, perchè si presuppone che, comunque, ammesso che non esista altro che divenire, il concetto di esistenza "pura" non può essere puro divenire solo perchè non dimostrabile dal tutto "mutevole". Esiste comunque un ENTE sopra il divenire che è coglibile dall'astrazione pura, dalle idee iperuraniche di Platone e una sua parusia è possibile.



----------



"Mentre in una prospettiva ontologica come quella di Severino non è possibile dire assolutamente nulla del genere. Gli enti "minuscoli" sono tutti eterni, appaiono semplicemente in successione. La carta che brucia non finisce nel niente. C'è prima la carta intatta, poi la scintilla vicina alla carta intatta, poi l'accendersi della carta, poi la carta accesa, poi la cenere residua.. insomma vi è solo una successione di eterne diapositive."



I minuscoli enti in successione, sono diversi enti. L'ente di partenza, la carta, si annichilisce in quanto carta, e, diventa cenere.



C'è' sempre un divenire da ente, non ente e nuovo ente, in una trasformazione.



Piuttosto, quindi, la prospettiva di Serverino, pare si collochi benissimo nella volontà di potenza, di un essere "senziente", che, non riuscendo ad accettare per una sorta di orgoglio (la volontà di potenza) il suo annichilimento, deve dimostrare di "essere" anche quando tutti esternamente direbbero "non è", pertanto, si applica benissimo solo per spiegare alcune attitudini umane.



Facciamo un esempio: se un bambino diventa adulto, il bambino resta ancora nell'adulto oppure c'è solo un adulto?



Questo tipo di ragionamento non è applicabile nella carta che brucia. La carta non è più carta. Se poi facciamo un ragionamento atomista possiamo dire che semplicemente le molecole si sono ossidate e hanno liberato energia, dunque non ragioniamo più in termini di carta ma andiamo già, alla natura più intima dell'essenza della carta.



Come vedi la chimica dimostrerebbe invece, che quanto più ci avviciniamo alla natura intima delle cose, quanto più i processi del divenire possono venire scomposti, ma non possiamo negarli del tutto fino a dire che i micro enti sono eterni, visto che, secondo l'esempio della carta, si annichiliscono e diventano altro.



Del resto, un'idea del genere, giustificherebbe però, il concetto postulato per il Cern di "particella di Dio", un concetto del tutto simbolico e ipotetico che starebbe a dimostrare che esiste una sorta di "microparticella" capace di dare "esistenza" alla massa.
2011-08-25 10:42:57 UTC
I campi di indagine della filosofia sono :

1) teoretica

2) pratica o morale



severino non si pone problemi morali (pratici), ma la sua filosofia verte sulla teoreticha.
2011-08-24 11:15:16 UTC
qualche volta sì e qualche volta no.
2017-01-11 21:25:26 UTC
Cercherò di chiarire il tuo dubbio, spiegandoti i due differenti atteggiamenti avuti prima da Schopenhauer e poi da Nietzsche. l. a. ragione critica aveva portato a considerare l’atteggiamento religioso come qualcosa di scisso, dal quale era necessario disalienarsi; a questo punto in un’ottica ottimistica Dio è stato sostituito dall’assolutizzazione della Ragione (l’idealismo, l’io come Assoluto), della politica (l. a. rivoluzione proletaria come missione storico/universale) e della scienza (il positivismo). Necessariamente questi prodotti dell’uomo, scontrandosi con il limite strutturale dell’esperienza umana, che fa naufragare le pretese assolute della razionalità olimpica, portano, in un certo senso, il loro stesso creatore alla disperazione, alla scoperta di una realtà caotica, irrazionale, tragica, in cui il dolore non ha senso neanche rispetto alla redenzione. Si può quindi comprendere che l’annuncio, o meglio l. a. presa d’atto, della morte di Dio susciti una riflessione simile a quella di Schopenhauer, ma contrariamente a quest’ultimo, Nietzsche non prospetta una soluzione di nichilismo passivo, bensì teorizza l’esistenza di un uomo capace di amare se stesso e l. a. vita, tanto da accettarla anche nel suo essere tragica, priva di senso e soggetta all’eterno ritorno. Questa tipologia umana non può essere ritrovata nel passato, poiché essa trova il suo inveramento nello ubermensch, cioè come traduce Vattimo, nell’uomo dell’oltre. Ciao, spero di essermi ben spiegata!


Questo contenuto è stato originariamente pubblicato su Y! Answers, un sito di domande e risposte chiuso nel 2021.
Loading...