Domanda:
Come si fa a condividere l'Eterno ritorno?
2012-06-15 13:19:18 UTC
Voglio dire, come si può desiderare di vivere infinite volte la propria vita che si succederà in maniera sempre uguale? Come si può condividere l'Eterno ritorno di Nietzsche?
Sette risposte:
etcetera
2012-06-16 10:55:07 UTC
Ricordo che molto tempo fa posi proprio su Answers, in fisica, una domanda in cui ipotizzavo che per quanto improbabile, se il tempo è infinito l' universo si sarebbe ripetuto identico infinite volte e le nostre vicende con esso. Tra una ripetizione e l' altra sarebbero passati miliardi di anni, ma noi morendo non avremmo avuto coscienza di questi tempi enormi di assenza, per cui soggettivamente essi sarebbero stati nulli e all' istante saremmo rinati per rivivere sempre identica la nostra vita, ma senza saperlo, ogni volta sarebbe stata la prima. Allora non conoscevo ancora la teoria dell' eterno ritorno di Nietzsche, ma avevo avuto la sua stessa ispirazione: se l' universo è finito e il tempo infinito non c' è scampo: questa stessa vita che viviamo si ripete sempre senza soluzione di continuità.

Come si fa ad accettare questa gabbia? tu chiedi. Essa è in qualche modo accettabile proprio in quanto ogni volta la nostra vita identica si ripresenta nuova, ogni volta noi non sappiamo e questo non sapere salva l' illusione di una volontà che ci appartiene e che può cambiare le cose, ogni volta per noi è una sorpresa unica e il pensiero dell' eterno ritorno dell' identico non lo viviamo, al massimo possiamo concepirlo e subito ritirarci sconvolti da questa ipotesi, come se fosse un' idea mostruosa ma pur sempre fantasiosa e irreale e la nostra salute mentale non ne viene compromessa.

Ciò che davvero spinge Nietzsche verso questa idea è però non tanto l' asettica logica dell' universo finito nel tempo infinito, quanto l' idea di una volontà di potenza senza limiti.

Il limite invalicabile contro cui va a sbattere la volontà di potenza è infatti il muro invalicabile del passato. Il passato non può essere cancellato da alcun atto di volontà, ciò che è accaduto è inesorabilmente per sempre. Suggestionato dal pensiero greco che ancora concepiva un tempo non lineare ripreso dall' antichissimo nito dell' Uroboro, ecco allora che Nietzsche sente che il passato in realtà può sempre ripresentarsi come presente, ove il presente è proprio il momento su cui la volontà è libera di agire in questo preciso istante, ma proprio perché il passato non diventi intoccabile esso va concepito come un eterno ri-presentarsi adesso dello stesso identico passato. Ogni attimo dunque è eterno e il riconoscimento di questa eternità che eternamente si ripresenta non pone limite alcuno alla volontà, perché pure il passato è un diveniente, non uno stato di cose immutabile e definitivo. Ma è proprio in quanto il divenire deve essere garantito in toto, si palesa l' angoscia totale di un divenire che si ripete sempre uguale, di un presente da cui non vi è assolutamente alcuna via di fuga, di una volontà che nel tripudio della sua potenza non può che accettare la sua totale impotenza. Questa è l' ultimo atto della angosciante tragedia in cui precipita il pensiero di Nietzsche: l' Essere negato dalla volontà affinché davvero tutto sia in divenire, uccide la stessa volontà che ha voluto negarlo. Il nichilismo della volontà suprema uccide se stesso e l' unico atto di libera volontà ancora possibile è l' accettazione completa, definitiva e paradossale dell' annientamento di quella stessa volontà che vuole il Divenire, quel morso alla testa del serpente di cui parla bob g è la completa accettazione di un suicidio, di una volontà che accetta il suo stesso annientamento, per quanto sconvolgente esso sia.

Nel momento del completo trionfo la volontà è annientata e con essa lo stesso Oltreuomo che l' ha fatta sua. Il trionfo, la completa realizzazione di questa volontà e dell' Oltreuomo è proprio questo annientamento e il ciclo descritto dall' Uroboro, il mitico serpente, si completa nell' auto divorarsi.



F.I. mi offri la ghiotta occasione di vendicarmi del sospetto di neo cartesianesimo! Chiedi "che cosa autorizza a unire le vite identiche alla stessa unica individualità?" semplice, quell' individualità, quell' io, è proprio esattamente quella vita vissuta, a meno che non si pensi alla mamiera neo cartesiana a un io separto dal suo vivere, più o meno come un puro spirito infilato in una pura materiale macchina corporea.
Doktor     Faustus      -
2012-06-16 19:00:29 UTC
—— Poiche' la dottrina dell'eterno ritorno e' già stata ottimamente illustrata anche nei suoi aspetti più profondamente inquietanti, mi limito a porre un interrogativo su un suo aspetto forse troppo apparentemente scontato:

Che cosa ci autorizza ( partendo dal postulato della "verità" dell'eterno ritorno) a trattare quella determinata individualità X che in cuor suo diceva di se' stessa "io" nelle varie esperienze del percorso di una sua esistenza, come "la stessa individualità X " che, pur senza averne memoria, ripercorre l'identica sequenza degli eventi della «sua» precedente vita, o delle sue infinite precedenti vite? Che cosa unisce difatti una certa esistenza di X da un'altra identica esistenza di " X " ? Essi (gli " X " ) dicono certamente "io sono X " ogni volta ad ogni ritorno dell'eguale esistenza, e cosi' tutti gli altri esseri capaci di asserire un'autocoscienza di se' stessi. Ma, se escludiamo il pre—giudizio di un filo che unisce tutti gli stessi X di tutti gli infiniti cicli di vita (che equivarrebbe all'ingiustificato presupposto di una stessa "anima" capace di re—incarnarsi in diverse vite individuali), ebbene se escludiamo il presupposto di una "stessa anima" individuale, che cosa autorizza a unire le vite identiche alla stessa unica individualità? Non so se mi sono spiegato.

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Quella M@ral era solo una provocazione !!  Ma dico: soltanto un essere che guardasse dal di fuori le vite identiche "saprebbe" che sono lo stesso X tutte le volte.

A parte il fatto che Leibniz potrebbe avere da ridire per l'identità ( l'essere solo UNO) di tutti gli identici indiscernibili, a parte Leibniz comunque, perche' mai quell' X che dice "io" dovrebbe preoccuparsi della "sua" futura ripetizione più di quanto non avesse a preoccuparsi di qualsiasi altro "io" ( Y o Z) ?

Ogni sofferenza di un'autocoscienza e' sofferenza di un'autocoscienza.  Se e' "giustificato" che io mi preoccupi di me stesso e del mio proprio destino individuale di questa vita per l'istinto naturale che mi lega al "me stesso" di questa vita (e quand'anche il me stesso fosse una finzione, ma una finzione che si presenta fenomenologicamente come l'istinto di un me stesso), ebbene che cosa giustifica che io abbia a cuore quell'altro identico a me stesso delle future vite ( ma che e' un "altro" da me stesso, sebbene uguale nella dottrina dell'eterno ritorno) ——piuttosto che avere altrettanto a cuore la sorte di un altro "io" qualsiasi sofferente pure lui e che, pure lui dice "me stesso" con la "sua" ( ma dentro di se' dice "mia" ) autocoscienza?

Se il legame e' "esattamente quella vita vissuta" allora , pur nell'infinita ripetizione, avrebbe ragione di nuovo Leibniz, perche' , di "esattamente quella vita vissuta" , ce ne sarebbe — rigorosamente parlando — UNA.

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Proprio pensando alla maniera cartesiana, come uno stesso spirito infilato di volta in volta nelle diverse vite individuali, si renderebbe ragione di X , stesso e plurimo per tutte le infinite identiche vite, proprio come un'anima che si reincarna. Senza quel filo di unione "esattamente quella vita vissuta" e' destinata a essere logicamente l'unica. (Qualcosa mi dice che l'eternità severiniana sarebbe la "soluzione" capace di superare la separazione delle singole vite rendendole contemporaneamente una e — anche — "infinitamente vissute"? )
bob g
2012-06-16 06:34:58 UTC
L' utente sopra di me credo che abbia compreso poco dell' eterno ritorno di Nietzsche ,il suo pensiero più abissale come lui stesso lo definisce e probabilmente il pensiero che lo fatto sprofondare nelle tenebre della follia,..Nietzsche aveva il terrore della sua teoria e nelle lettere rivolte ad amici e conoscenti ha espresso più volte l' angoscia per la possibilità dell' eterno ritorno e questo terrore per l' eterno ritorno deriva anche dalla sua particolare biografia personale,una vita,quella di Nietzsche dolorosa,malato,inquieto e alle prese con emicranie e dolori di vario tipo fino al suo tracollo abbracciato a un cavallo,per non parlare delle sue inquietudini filosofiche.Chi prenda alla leggera questa teoria si rende simile agli animali di Zarathustra i quali ripetono la dottrina dell' eterno ritorno come una cantilena per persone sciocche e infatti Zarathustra si arrabbia per questa semplicità di fondo,"ogni verità è ricurva,il tempi stesso è un circolo" dicono gli animali di Zarathustra,al che questi li rimprovera per la loro tranquillità nel parlare di questa teoria.Chi accetta tranquillamente l' eterno ritorno senza essare passato per il terrore,ha compreso poco della teoria,anzi nulla,egli è ancora l' ultimo uomo,la pulce che saltella per la terra,che vuole solo il suo piccolo piacere e vuole perpetuare questa sua piccolezza in eterno,egli vuole solo vivere in eterno perchè sta sta bene nella vita.Anche da un punto di vista psicologico,l' eterno ritorno nella sua radicalità non può condurre alla felicità,in quanto soltanto una mente aperta sul futuro è sana,mentre una chiusaa sul passato è malata e non ci vuole molto a capire che l' eterno ritorno,inteso come eterno ripetersi di ogni cosa sempre uguale,cancella di fatto la dimensione futura e per ciò la stessa possibilità per stare bene.Nietzsche sapeva bene tutto questo e di certo non desiderava l' eterno ritorno,ma prima che interessarsi al sup bene o al suo male,era interessato alla verità,la quale veniva prima di tutto e per amor di verità egli volle essere coerente con il suo pensiero.I fatui e gli ingenui guardano la teoria del di fuori non capendone niente e dicono sì senza averla fatta propria ed averla assimilata,ma contro la superficialità ci viene in soccorso un passo dello Zarathustra,in quella scena del pastore che viene quasi soffocato da un serpente che gli è saltato in bocca,fino a quando egli non gli stacca la testa con un morso,incominciando poi a ridere come un' illuminato,...nella scena il serpente che sta per soffocare il pastore rappresenta la teoria dell' eterno ritorno,che fa piombare nell' angoscia e nel terrore il pastore,il quale solo con un proprio atto decisionale riesce ad amare la teoria e questo viene rappresentato dal morso alla testa del serpente.
Awakener [ಠ_ಠ™]
2012-06-15 20:59:22 UTC
http://gyazo.com/f97acbc19fa15b576fa29ca8d4bae81e cosí!



Scherzi a parte, io ci metterei la firma, poter vivere per sempre :D



Ho risposto per mettere l'immagine, l'eterno ritorno non l'ho né capito particolarmente né comunque ci credo, quindi non mi ci sono soffermato piú di tanto. Mi spiegate nei dettagli di che si tratta, dunque? :)
2012-06-16 13:06:52 UTC
Quindi dovrei accettare una verità solo se mi piace?
Nikidis
2012-06-16 09:52:53 UTC
Nietzsche, come preciserà nei frammenti postumi (1881), non intende (o non intende più) dire che ogni ciclo si ripete sempre uguale a se stesso ma che, visto che la ciclicità è infinita, allora tra tutte le configurazioni casuali che si succedono infinitamente è matematicamente certo che tutte le configurazioni passate prima o poi si ripeteranno. E si ripeteranno all’infinito. Pertanto l’esistenza attuale è una replica di un’esistenza che si è verificata non necessariamente nel ciclo precedente ma chissà quanti cicli fa. E chissà tra quanti si ripeterà ancora. Sicuro è che si ripeterà.

E questo è terribile, chi comprende fino in fondo la portata dell’eterno ritorno non può non vedervi la scaturigine più abissale della più terrifica delle angosce («il più abissale dei miei pensieri»). Tutto si ripete, «ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro … l’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello di polvere». E si ripete anche la vacuità di significato, di uno scopo ultimo, di una verità eterna: «Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato?»

Accettare l’ineluttabilità dell’eterno di ritorno è una scelta obbligata per superarne l’orrore: «Tu non lo sopporti più, il tuo destino dispotico? Amalo, non ti rimane altra scelta!».

L’imperativo è un atto di volontà che non potendo essa agire sul passato, sul «ciò che fu», dovrà dire: «Ma così io voglio! Così io vorrò!».

Naturalmente, lo si può condividere o meno. Vi sono visioni metafisiche meno cupe e inesorabili di questa ed essere “nietzschiani” in questo suo particolare aspetto, almeno per quanto mi riguarda, è superato e lontano. Passione di gioventù.



In questo video, a suo tempo scovato dall’utente Maral, ne puoi respirare la terribile suggestione: http://www.youtube.com/watch?v=12xXdoOSRpE
Andrea
2012-06-16 06:48:44 UTC
Sull'eterno ritorno di Nietzsche non mi esprimo, ché farlo richiederebbe troppo tempo. Sono dell'avviso, in ogni caso, che l'utente Awakener abbia capito ben poco dello stesso, pronunciandosi egli con cotanta superficialità e mistificando scopertamente.



@Awakener Ribadisco che non posso soffermarmi a discutere dell'eterno ritorno: il discorso, affrontato con la doverosa completezza e serietà, richiede troppo tempo: mi esimo dall'affrontarlo. Tieni presente (mi permetto di darti del "tu") che è risaputo che l'eterno ritorno rappresenti "il più abissale" dei pensieri nietzscheani, quindi non liquidarlo troppo frettolosamente: la mentalità pressapochistica non si confà a un incipiente filosofo, quale tu altrove dài prova d'essere. Il filosofo non dice "non ci credo", ad esempio.


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